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25.06.2021

Ristrutturazione del debito dei paesi emergenti e sostenibilità

La sostenibilità economico-finanziaria e quella socio-ambientale, spesso viste in antitesi, rappresentano due facce della stessa medaglia. Nel lungo periodo, l’una non regge senza l’altra. In quest'ottica, la sostenibilità del debito dei Paesi Emergenti può rappresentare l’occasione giusta per soluzioni intelligenti che coniughino le esigenze economiche e quelle socio-ambientali.

A cura di Alfonso Del Giudice, professore associato di Finanza aziendale e direttore del master in Finanza sostenibile presso l’Università Cattolica di Milano.

La sostenibilità economico-finanziaria e quella socio-ambientale, spesso viste in antitesi, rappresentano due facce della stessa medaglia. Nel lungo periodo, l'una non regge senza l'altra. La piena convergenza dei due aspetti della sostenibilità è ancora da sviluppare, anche se le maggiori agenzie di rating tradizionale da qualche anno elaborano e diffondono anche rating non finanziari. La sostenibilità del debito dei paesi emergenti può rappresentare l'occasione giusta per soluzioni intelligenti che coniughino le esigenze economiche e quelle socio-ambientali. Il problema del debito dei paesi emergenti è annoso e ciclicamente si ripropone, affrontato o unilateralmente dai singoli paesi creditori o in maniera coordinata attraverso agenzie sovranazionali, come la World Bank o il Fondo Monetario Internazionale. Le precedenti crisi del debito si sono risolte attraverso hair-cut, ristrutturazione delle scadenze, rifinanziamenti straordinari. 


Questi interventi, benché meritevoli, perché forniscono un immediato sollievo al debitore, non sono però risolutivi: prima negli anni '80, poi a inizio degli anni 2000, infine oggi, la situazione si ripete. Ogni volta che lo scenario internazionale muta a causa dell'emergere di nuovi rischi, i paesi più indebitati si trovano ad affrontare un pericoloso trade-off tra servire il debito e finanziare l'incremento di spesa necessario per fronteggiare i contraccolpi della crisi. 


La crisi attuale, però, ha delle caratteristiche peculiari. La pandemia rende il trade-off molto più evidente che in passato: investire in vaccini e sanità diventa prioritario rispetto a servire il debito. D'altro canto, senza contrasto alla pandemia non c'è ripresa economica e, quindi, capacità reddituale: ecco perché il G20 e le agenzie sovranazionali hanno concesso una sospensione del debito per il 2020 e il 2021 a favore dei paesi in via di sviluppo, oltre che una serie di misure emergenziali per finanziare le spese connesse alla pandemia. Parallelamente, però, lo stock di debito è incrementato: la World Bank stima che l'incremento medio del rapporto debito/PIL sia stato del 12% nel 2020, pari a circa 10 mila miliardi (10 trillion) di dollari americani a livello globale.


Quindi, il timore di molti analisti è che il problema si riproporrà con maggiore urgenza nei prossimi due anni. Già oggi il FMI stima che 36 dei 70 paesi in via di sviluppo necessitano di una qualche forma di ristrutturazione del debito, e questo numero può solo incrementare. Il debito di questi paesi, infatti, era già molto elevato prima della pandemia, quindi l'aggiunta di nuovo debito e la riduzione della capacità reddituale, causata dalla crisi mondiale e dai lockdown, può solo esacerbare il problema. 


Servono soluzioni originali a un problema complesso: ridurre il tutto a un hair-cut del debito, infatti, oltre a non eliminare le cause della crisi, avrebbe l'effetto di precludere l'accesso al mercato dei capitali del paese destinatario della misura; d'altro canto, è necessaria una ristrutturazione che non si limiti soltanto a dilazionare le scadenze. Insomma, accanto a una manovra che comunque riduca il valore attuale netto del debito, serve un meccanismo di tutela sia delle esigenze dei creditori che dei paesi debitori. Uno schema può essere quello dello swap del debito, già sperimentato in passato con qualche successo in rapporti bilaterali (vedi Usa – Seychelles sul tema della tutela ambientale), ma difficilmente utilizzabile in un contesto con numerosi creditori, ognuno dei quali portatore di istanze diverse. Assieme agli accordi di sospensione del debito implementati dal G20, si potrebbe prevedere la possibilità, per i richiedenti, di creare un veicolo, gestito da una banca di sviluppo locale, che gestisca centralmente i pagamenti verso tutti i creditori, in modo da assicurare che il risparmio generato dagli accordi di sospensione, revisione e taglio sia effettivamente utilizzato per finanziare le spese socio-sanitarie e ambientali.


La stima fatta da alcuni studiosi* è di un beneficio pari a 800 miliardi di dollari americani da reinvestire entro il 2021, qualora aderissero allo schema tutti i paesi in difficoltà e tutti i creditori interessati. Si tratterebbe, dunque, di un'innovazione interessante per due ragioni: primo, perché spingerebbe i paesi a investire sia sulla "S" che sulla "E" dell'acronimo ESG e questo è particolarmente utile in paesi carenti di sistemi educativi, sanitari e di welfare. In secondo luogo, un altro vantaggio deriverebbe dalla governance del risparmio conseguito da questi paesi: l'accentramento dei flussi presso una banca di sviluppo locale con la quale interagire, mitigherebbe il potenziale rischio di utilizzo inefficiente delle risorse risparmiate. Infine, anche i creditori avrebbero un vantaggio nel vedere comunque un impatto positivo dall'investimento effettuato (ovvero dalla porzione di credito a cui rinunciano), oltre che evitare l'azzeramento del credito vantato.​


Quali sono i problemi connessi all'implementazione di questo schema? Per essere efficace, dovrebbe raggiungere un ammontare di debito significativo e, quindi, l'accordo di numerosi creditori. Oggi i creditori dei paesi in difficoltà non sono solo stati sovrani (G20) o enti sovranazionali (IMF, WB), coi quali si può in maniera organica e rapida strutturare una soluzione di questo tipo. Quasi il 40% del debito è in mano a privati, oltre che a paesi non appartenenti al G20, ed è estremamente complicato metterli tutti d'accordo su un'iniziativa comune, data anche la diversa natura dei crediti vantati (e su cui non c'è molta trasparenza, vedi il caso Macedonia - Cina). D'altra parte, se soluzioni di ristrutturazione così importanti fossero implementate solo da (una parte di) creditori sovrani o sovranazionali, si garantirebbe un improprio vantaggio agli altri creditori, che godrebbero così di una vera e propria condizione di free-riding. 

Il secondo problema è connesso al primo: per raggiungere gli obiettivi prefissati e consentire un'uscita ordinata dalla crisi sanitaria prima ed economica dopo, è necessario che un accordo omogeno e completo si trovi in fretta. La numerosità e la diversa natura dei creditori rende il timing molto complicato. Il punto cruciale rimane questo. Abbiamo già sperimentato con il Covid19 quanto importante sia giocare d'anticipo e prevenire l'escalation del rischio. Uno sforzo collettivo è necessario per evitare che alla pandemia segua un "contagio" di insolvenze di paesi sovrani.


* https://voxeu.org/article/debt-standstill-covid-19-low-and-middle-income-countries​



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