La view di ANIMA
A pochi giorni dal Natale, con i trading book di molti operatori già chiusi e la prospettiva di un fine anno assolutamente sereno per i mercati finanziari, è arrivata del tutto inattesa la sorpresa di un inasprimento dell'approccio della Fed: durante la riunione del 18 dicembre, la banca centrale americana ha sì ridotto come previsto il tasso obiettivo sui Fed Funds di 25 punti base, a 4,25-4,50%, ma la decisione non è stata unanime ed è stata accompagnata da una molteplicità di segnali che denotano l'adozione di un orientamento meno accomodante:
- nel comunicato ufficiale, è stata aggiunta una frase secondo cui la Fed valuterà “entità e tempistica di ulteriori aggiustamenti dei tassi", suggerendo, come espressamente chiarito da Powell, un rallentamento del processo di allentamento monetario;
- le stime mediane dei membri del FOMC sull'evoluzione dei tassi nei prossimi anni sono state riviste al rialzo sull'intero orizzonte previsionale, e indicano solo due tagli di 25 punti base nel 2025 (dai quattro inclusi nelle proiezioni di settembre), due nel 2026 e uno nel 2027;
- durante la conferenza stampa, Powell ha dichiarato che si è aperta una nuova fase per la politica monetaria americana e occorrerà essere più prudenti nell'effettuare ulteriore tagli, che dipenderanno dai progressi nel processo disinflazionistico.
Il cambio di approccio trova giustificazione in primis nella marcata revisione al rialzo delle stime sull'inflazione, che a sua volta riflette la vischiosità emersa negli ultimi due report sui prezzi e la scelta di alcuni Governatori di iniziare a incorporare i potenziali effetti delle politiche di Trump: il deflatore PCE core è atteso ora al 2,8% nel 2024, 2,5% nel 2025, 2,2% nel 2026 e 2% nel 2027, dai precedenti 2,6%, 2,2%, 2,0% e 2,0%. Di fatto, l'allungamento dei tempi necessari per riportare l'inflazione al target e l'aumento dell'incertezza sullo scenario di riferimento giustificano l'adozione di un approccio più cauto e quindi un rallentamento del processo di normalizzazione della politica monetaria, complice il fatto che, dopo 100bp di tagli, i tassi sono più vicini al livello di neutralità.
La svolta hawkish della Fed, assolutamente inattesa e per certi aspetti anche difficile da giustificare (sia per il razionale macro che per l'incertezza sulle scelte dell'Amministrazione Trump), ha lasciato il segno sui mercati, complice l'illiquidita stagionale: l'indice S&P 500 è stato colpito da prese di profitto (la performance da inizio anno sfiorava il 30%) e ha ceduto quasi il 3%, registrando il maggior calo in una giornata di riunione della Fed dal 2001; le attese sull'allentamento monetario nel 2025 sono state riviste al ribasso di circa 15 punti base, e i rendimenti dei Treasury decennali sono saliti di 12 punti base spingendosi sopra quota 4,5%, ai massimi da fine maggio.
Le dinamiche registrate confermano la valutazione fatta all'indomani delle elezioni che la vittoria di Trump ha considerevolmente ampliato la distribuzione dei possibili scenari di policy, ma non modificano il nostro giudizio sulle opportunità offerte dai mercati.
In particolare, manteniamo una view moderatamente costruttiva sui comparti governativi: da una parte, restiamo convinti che il trend disinflazionistico si consoliderà e permetterà alla Fed di continuare ad allentare la stretta monetaria; dall'altra, il sell-off registrato nelle ultime settimane ha riportato le valutazioni su livelli di interesse. Pertanto, avendo preso parzialmente profitto sui sovrappesi di duration alla fine di novembre, abbiamo sfruttato il repricing recente per tornare ad accumulare esposizione. Ribadiamo la positività sui titoli di Stato italiani: lo spread fra BTP e tassi swap continua a consolidare del range disegnato nell'era Meloni, e permangono numerosi fattori di supporto che mantengono basso il rischio idiosincratico. L'approccio al mondo del credito resta contraddistinto dalla selettività, con gli spread su livelli storicamente compressi.
Il giudizio sull'asset class azionaria si conferma analogamente costruttivo. A inizio 2025, i listini statunitensi resteranno sostenuti dalla solidità del quadro macro/fondamentale e dalle attese di implementazione delle politiche di Trump, e rappresentano senz'altro la scelta razionale suggerita da tutti gli strategist. Ma intravediamo opportunità anche migliori in Europa: gli indici del Vecchio Continente hanno incorporato molte notizie politiche e geopolitiche negative, sono sotto-detenuti e sotto-valutati, e in prospettiva potrebbero beneficiare di diversi catalyst positivi, come la cessazione delle ostilità in Ucraina o un cambio di orientamento sulla politica fiscale in Germania. Permane la neutralità sulla Cina, in attesa di maggiori dettagli sui piani di stimolo fiscale, e sui Paesi emergenti.
In ambito valutario, infine, si conferma moderatamente positiva la view sul dollaro, favorito dalle politiche di Trump e dalla divergenza fra i trend macro e di politica monetaria in atto lungo le due sponde dell'Atlantico.
View di Mercato, Comitato Investimenti del 11-12/12/2024
I giudizi espressi non rappresentano indirizzi assoluti di carattere allocativo, bensì un orientamento generale sull'ipotizzabile andamento delle diverse asset class