Elezioni americane, l'unica certezza è l'incertezza

Investment Advisory

15.10.2024

Elezioni americane, l'unica certezza è l'incertezza

Il voto apre scenari potenzialmente molto diversi per l’economia e i mercati a seconda della combinazione fra Presidente e configurazione del Congresso. Ma nel medio termine, i trend macro/fondamentali resteranno dominanti: la potenziale volatilità post-elettorale potrebbe offrire interessanti opportunità

Il 5 novembre i cittadini americani saranno chiamati ai seggi per l'elezione del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Dopo il ritiro dalla corsa di Biden, le cui chance di rielezione apparivano compromesse, si profila un testa-a-testa tra i due candidati, Donald Trump per il partito repubblicano, e Kamala Harris per il partito democratico, con il primo in vantaggio secondo i siti di scommesse, e la seconda favorita dai sondaggi sulle intenzioni di voto, seppur con divario in calo. In considerazione del margine di errore statistico dei sondaggi e del peso rilevante dei cosiddetti swing-states (Stati federati che storicamente non supportano con continuità lo stesso partito), l'esito della tornata elettorale appare quanto mai incerto. E la stessa considerazione vale per la configurazione del Congresso: se fino a qualche settimana fa lo scenario largamente più probabile sembrava essere quello di un Congresso diviso (con il Senato a guida repubblicana, e la Camera controllata dai democratici), recentemente sono aumentate le probabilità di un Republican Sweep (ovvero, di una vittoria di Trump con controllo repubblicano di entrambi i rami del Parlamento); a pesare, secondo alcuni analisti politici, l'incapacità della Harris di scrollarsi di dosso l'eredità dell'Amministrazione Biden, e guadagnare credibilità sui temi di economia, immigrazione e politica estera.


Nel valutare le possibili implicazioni delle agende dei due candidati per l'economia e i mercati, è fondamentale tenere presente che non tutte le promesse elettorali potrebbero essere mantenute: come spesso accade, alcune mirano semplicemente ad attrarre voti durante la campagna elettorale, mentre altre richiederebbero l'approvazione dell'organo legislativo e potrebbero non passare l'esame di un Congresso diviso.


Con riferimento alla politica fiscale, in particolare, i tagli alle imposte approvati da Trump nel 2017 scadranno a fine 2025, e il loro eventuale rinnovo sarà un tema scottante sul tavolo della nuova Amministrazione; in caso di Congresso diviso, le negoziazioni potrebbero essere accese e protrarsi per buona parte dell'anno. Il magnate repubblicano ne propone un'estensione integrale, e vorrebbe ridurre ulteriormente l'aliquota fiscale per le imprese, dal 21% al 15%. La Harris, al contrario, sosterrebbe una proroga dei tagli solo per gli individui con redditi inferiori a 400 mila dollari l'anno e ha in programma diverse misure assistenziali, che sarebbero in parte finanziate attraverso un aumento dell'imposizione fiscale sulle imprese (l'aliquota ordinaria passerebbe dal 21 al 28%, e quella sul riacquisto di azioni proprie dall'1% al 4%) e dell'imposta sui capital gain per gli individui più abbienti. Per certo, nessuno dei due candidati ha presentato un programma orientato a ripristinare la disciplina fiscale. Secondo i calcoli dell'Ufficio di Bilancio del Congresso (Congressional Budget Office, CBO), il rapporto debito/PIL per gli Stati Uniti, attualmente pari al 99%, raggiungerà il 125% a politiche invariate entro la fine del 2035, superando in soli tre anni il record del 106% registrato nel Dopoguerra; il Comitato per un Budget Federale Responsabile (Committee for a Responsible Federal Budget, CRFB) stima che l'agenda Harris aumenterebbe lo stock di debito di ulteriori 3,5 trilioni di dollari nel 2035, portando il rapporto debito/PIL al 133%, mentre con Trump l'incremento sarebbe di 7,5 tn e il debito/PIL arriverebbe al 142%.


Sui temi di politica commerciale, dove il Presidente ha poteri esecutivi ampi ma non illimitati, Trump ha proposto l'introduzione di una tariffa del 10% su tutte le importazioni in ingresso negli Stati Uniti, e del 60% su quelle provenienti dalla Cina. La Harris, invece, potrebbe mantenere sostanzialmente invariato lo status quo, sebbene non siano da escludere incrementi tariffari e restrizioni commerciali selettive su alcuni beni di importanza strategica.    


Un altro fronte caldo nel confronto fra i due candidati è quello dell'immigrazione: Trump ha promesso controlli più severi alle frontiere e una deportazione di massa degli immigrati irregolari (il candidato alla vicepresidenza Vance ha parlato di espellere in tempi rapidi almeno un milione di immigrati irregolari). Sebbene si tratti di una proposta di difficile applicazione per i vincoli legali, la sua attuazione rappresenterebbe uno shock all'offerta sul mercato del lavoro, con rischi al ribasso per la crescita e al rialzo per l'inflazione. L'agenda Harris punterebbe invece a promuovere la stesura di una legge bipartisan sulla sicurezza delle frontiere, con un mix tra inasprimento delle restrizioni e politiche di supporto all'integrazione.


Benché il livello di incertezza su tempi e modalità di attuazione dei programmi elettorali sia elevato, riteniamo che nel caso in cui Trump dovesse assicurarsi la corsa alla Casa Bianca il profilo di crescita contemplato nel nostro scenario centrale non muterebbe in modo radicale nell'orizzonte di previsione; i rischi per l'inflazione sarebbero invece orientati al rialzo dal 2026 in presenza di Republican Sweep, stante la possibilità che si sviluppi una guerra tariffaria globale. Dovesse vincere la Harris, le ripercussioni per lo scenario macro sarebbero limitate in caso di Democratic Sweep, mentre l'impulso fiscale sarebbe leggermente superiore con Congresso diviso (con conseguente marginale beneficio per la crescita e rischi al rialzo per l'inflazione).


Con riferimento alle implicazioni per i mercati, a parità di altre condizioni, un'affermazione di Trump con pieno controllo del Congresso potrebbe essere associata a un aumento delle pressioni rialziste sui tassi con irripidimento delle curve, un rafforzamento del dollaro (benché apertamente osteggiato da Trump), e una temporanea rotazione settoriale a vantaggio di comparti value/ciclici tradizionali e small cap; i movimenti sarebbero più contenuti con Congresso diviso, e l'apprezzamento del biglietto verde potenzialmente limitato alo yuan (l'inasprimento della politica commerciale si scaricherebbe soprattutto sulla Cina). Dovesse invece spuntarla la Harris e guadagnare anche l'appoggio del Congresso, l'impulso fiscale e le pressioni sui tassi sarebbero più limitate, ma il mercato azionario potrebbe avere una reazione negativa nel breve termine, per i timori di indebolimento dei fondamentali aziendali derivanti dalla maggiore pressione fiscale; con Congresso diviso, le criticità nell'approvare gli aumenti di imposte potrebbero penalizzare le obbligazioni ma favorire l'equity, rispetto all'ipotesi di Democratic Sweep.


In ogni caso, restiamo convinti che nel medio termine saranno i trend nel quadro macro/fondamentale e di politica monetaria a plasmare l'andamento dei mercati, il che significa che il potenziale aumento della volatilità in concomitanza con il voto potrebbe offrire interessanti opportunità di riposizionamento strategico. 


​Andamento medio delle quote nelle scommesse sulla vittoria dei due candidati alla Presidenza degli Stati Uniti




Fonte: elaborazione ANIMA su dati Real Clear Politics, Bloomberg



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