Data la repentina correzione dei mercati finanziari, ci aspettiamo che le banche centrali, magari dopo qualche tentennamento di breve periodo, faranno la loro parte, Federal Reserve in primis. Gli strumenti a disposizione ci sono.
La repentina correzione dei mercati finanziari della fine di febbraio è ascrivibile ad una combinazione di fattori. Sicuramente una sorta di inerzia dei corsi - eredità dell'anno scorso che ha visto l'azionario ottenere performance stellari nonostante un quadro macroeconomico che per larga parte è stato incerto - ha contribuito a sostenere il momentum dei listini verso nuovi massimi quasi con frequenza giornaliera. Di riflesso, i flussi in entrata sono continuati: complice un andamento dei dati macro tutto sommato confortante, nel mercato azionario i flussi sono rimasti importanti nonostante l'aumento del newsflow negativo sul Coronavirus. Rispetto ad altre asset class rischiose, l'azionario è stato decisamente più lento nel prezzare un aumento dei potenziali rischi di breve periodo che si stavano stagliando all'orizzonte sull'onda delle notizie provenienti dalla Cina; oro, dollaro, petrolio, solo per citarne alcune, hanno iniziato a correggere con quasi un mese di anticipo. In un certo senso, il mercato azionario si è trovato a pagare tutto d'un colpo una certa svagatezza aggravata dalle alte quotazioni raggiunte.
A fronte di questa situazione, ci aspettiamo che le banche centrali, magari dopo qualche tentennamento di breve periodo, faranno la loro parte. Non c'è dubbio che uno shock sul lato dell'offerta (quale ad esempio la scarsa disponibilità di beni) come quello indotto dal Coronavirus sia un evento a cui le banche centrali tendono a reagire con maggiore ritardo e svogliatezza rispetto ad un più classico shock di domanda. Ma è difficile immaginare che rimarranno indifferenti, la Federal Reserve (Fed) su tutte. Considerato che il mercato azionario ha - tramite l'effetto ricchezza - un impatto considerevole sul sentiment dei consumatori americani e quindi sulle loro decisioni di spesa e risparmio, è molto improbabile che la Fed ignori gli effetti negativi che il protrarsi di una situazione di bear market avrebbe sulla domanda domestica e quindi sull'intera economia americana.
Dopo anni di QE (in parte ritratti) e di politiche monetarie non convenzionali, è lecito domandarsi se oltre alla volontà, le Banche centrali abbiamo a disposizione gli strumenti per intervenire. Ovviamente, la risposta è diversa a seconda delle banche centrali. Basti pensare ad esempio che, a differenza della Fed, la BCE è già da molto in territorio negativo con i tassi di riferimento e questo limita la decisione con cui Francoforte può azionare la leva dei tassi. Ciò detto, non crediamo che la BCE abbia esaurito le frecce al suo arco. Ulteriori tagli non sono da escludersi, così come ulteriori iniezioni di liquidità o aggiustamento delle dimensioni dell'attuale programma di quantitative easing.
Infine, ci sarebbe anche spazio per politiche fiscali, ma credo sia presto per immaginarsi una decisa presa di posizione dei governi nazionali. Il ciclo elettorale americano e l'antitesi (tutta europea) fra i paesi altamente indebitati - tradizionalmente favorevoli ad azionare la leva fiscale - e l'attitudine di quelli che ne avrebbero la possibilità ma non la propensione, non fanno ben sperare per un immediato intervento. In questo contesto, il Regno Unito è quasi un'eccezione fra i grandi Paesi sviluppati. In buona sostanza, le banche centrali danno l'impressione di essere ancora il principale protagonista sui mercati, quantomeno nel brevissimo termine.
Articolo a cura di Fabio Fois, Responsabile investment research di ANIMA Sgr.